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Riflessioni sul bonsai tradizionale giapponese

Il bonsai tradizionale giapponese, diffuso soprattutto dai monaci Zen a partire dal XII° secolo (Storia delle religioni-vol. IV-Mondadori, 2005) è una delle esperienze orientali che arricchiscono il rapporto con la natura e aiutano a ritrovare l’armonia perduta. Il bonsai nasce e si diffonde in Giappone come strumento di meditazione e ricerca dell’armonia tra l’uomo e la natura.

Come il giardino Zen, rappresentazione simbolica della natura, anche il bonsai rappresenta un luogo ideale di meditazione e per questa ragione è entrato a far parte della cerimonia del tè, anch’essa nata sotto l’influenza del buddismo zen e diffusasi nello stesso periodo. Questo rito invita a lasciare fuori dalla casa da tè il mondo esterno e a sperimentare il silenzio e la calma interiore che permettono la ricerca della semplicità e dell’immediatezza nel rapporto con gli altri e con il mondo stesso.

Rabindranath Tagore, in una riflessione tratta da “La vera essenza della vita” (Tagore R. 1998) sembra suggerire il giusto approccio per trovare la vera “essenza” anche del bonsai: “Allora saprete che il significato vero che hanno per voi le cose possedute non consiste in esse stesse ma nelle relazioni che per mezzo loro si stabiliscono tra voi e l’Infinito”.

Coltivare bonsai secondo lo spirito tradizionale giapponese aiuta a liberarsi dagli stereotipi del successo, del denaro e del potere e insegna ad apprezzare le piccole cose e l’essenziale.

Lo spirito del bonsai si esprime nella pace e nel silenzio, aiutando a contrastare la triste frenesia del nostro tempo. Coltivare bonsai consente di essere in qualche modo artefice, assieme alla natura, dello spettacolare risveglio della primavera e permette di godere, giorno per giorno, del verde smagliante dell’estate, dell’incredibile tavolozza di colori dell’autunno e del raffinato disegno filigranato dei rami spogli d’inverno.

Il bonsai è una disciplina artistica che ti insegna a vedere la bellezza in un filo d’erba, nel vuoto tra i rami, nell’armonia tra la pianta e il vaso, quella bellezza che si annida nelle piccole cose che, senza alcuna pretesa, sanno catturare un pezzo d’infinito.

L’elemento straordinario, e in qualche modo unico rispetto ad altre forme d’arte, risiede nella vitalità dell’albero, nel continuo mutamento determinato dal lento fluire del tempo secondo il ritmo delle stagioni. La bellezza della coltivazione del bonsai è legata allo scorrere del tempo nella condivisione del ritmo naturale dell’albero, nel rispetto e cura delle sue esigenze e nella ricerca di un’armonia che lo stesso bonsai esprime e modifica nel suo ciclo di vita.

In “Bonsai” il maestro Kunio Kobayashi ricorda come sin dalle origini la tradizione giapponese abbia attribuito alle cure costanti e quotidiane la capacità di conferire alla pianta in vaso l’armonia e la bellezza, considerando poco attraenti le piante cresciute in modo spontaneo:

“Durante il periodo Heian (794-1185) cominciarono ad apparire documenti degni dell’attenzione degli artisti di bonsai. In Utsubo monogatari (Racconto dell’albero cavo – seconda metà del secolo X), si manifesta già l’estetica giapponese del bonsai: “inferiori e poco attraenti sono le piante cresciute in modo spontaneo, perché soltanto la cura amorevole dell’uomo, mattina e sera, conferisce ad alberi e fiori la grazia tipica del loro aspetto e della loro postura.”

La ricerca del rapido successo e di risultati eclatanti induce spesso ad utilizzare tecniche sofisticate e invasive, rinunciando ad uno degli elementi essenziali del bonsai tradizionale, rappresentato dal costante e paziente dialogo quotidiano con gli alberi in coltivazione, per ritrovare e sentire, attraverso essi, il respiro del creato.

La bellezza, la pace e l’armonia, che il bonsaista cerca nel bonsai, vengono da un inesauribile bisogno di libertà. La maestria dell’esecuzione non basta a far nascere la sensazione di bellezza. Essa proviene dall’armonia creata tra gli elementi che compongono l’opera, come accade al pittore e al musicista. È l’insieme armonioso che fa sgorgare la sensazione della perfezione a chi ammira o ascolta l’opera d’arte. L’osservatore attento e sensibile ritrova l’universale nel particolare, l’infinito nel finito, l’eterno nell’attimo presente.

Questi piccoli alberi possono rispondere anche alla ricerca continua di “senso” che ogni uomo sente nella propria esistenza, e divenire, incredibilmente, una piccola finestra attraverso la quale guardare oltre se stessi e il proprio tempo. Il vuoto tra i rami non designa affatto un’assenza ma il luogo della consapevolezza di essere un tutt’uno con le cose, il luogo dove si abbandonano i consueti modi di percepire spazio e tempo e si manifesta il profondo legame dell’uomo con l’ordine e l’armonia del cosmo.

Allora assume significato quanto dichiarato da Seiji Morimae nel “Dialogo con il bonsai” dove afferma che il bonsai gli ha insegnato a non avere paura della morte. In un tempo in cui domina il silenzio sulle cose ultime, questi piccoli capolavori possono serenamente e dolcemente ricordarci la caducità delle cose e della nostra esistenza, insegnandoci ad amare la vita “fragile e peritura” e aiutandoci a coglierne l’essenza.


Tratto da “Il bosco bonsai” arte, cultura, tradizione giapponese

di Ennio Santacatterina

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